Mentre il mondo è scosso dalla vittoria di Donald Trump e tutti i riflettori sono puntanti sul Tycoon e sulla perdente Kamala Harris, c’è un uomo che ha guidato gli Stati Uniti d’America in uno dei periodi più burrascosi della loro storia. Quest’uomo molto probabilmente uscirà dalla porta secondaria e otterrà il riconoscimento che merita solo fra molti anni. Quest’uomo è Joe Biden.
Questa newsletter non si propone di trattare specificatamente del 46° Presidente degli Stati Uniti, il cattolico Joe, ma piuttosto di esplorare la leadership e il modo in cui in politica l’uscita di scena spesso avviene in silenzio e con una sconfitta amara che cerca di negare o sminuire tutto il percorso compiuto fino a quel momento.
Posso dire con serenità che i posteri ricorderanno Biden per le scelte fatte in politica interna, meno in politica estera. La Bidenomics, cosi si dice in gergo, proietterà l’America verso il dominio economico nel prossimo futuro ma i suoi risultati non sono stati e non saranno visibili a breve. E Kamala Harris se n’è accorta.
Investimenti in infrastrutture da 1,2 trilioni di dollari per strade, ponti, reti idriche e banda larg; Chips and Science Act per riportare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti e ridurre la dipendenza da paesi esteri; Inflation Reduction Act finanziato con 370 miliardi di dollari per promuovere l'energia pulita e ridurre le emissioni di carbonio. Insomma lo spostamento di una nazione moderna verso i prossimi 100 anni.
Ma come dicevamo, di tutti questi piani i risultati sono molto lontani.
E se è vero che “Un politico pensa alle elezioni e uno statista alle prossime generazioni”, la storia è piena di leader abbandonati a se stessi. Lo stesso autore di questa frase lo è stato.
Da primo-repubblicano e degasperiano quale sono, ho intravisto delle somiglianze nell’uscita di scena di Biden con la storia dello statista trentino. Dopo aver rappresentato l’Italia nei negoziati post-bellici e aver dato l’impulso fondamentale allo sviluppo economico e sociale del Paese, De Gasperi non ricevette il sostegno della Camera dopo le elezioni del ‘53 e decise di ritirarsi dalla politica nel ‘54. In tutto ciò, ebbe addirittura attriti con il Papa di allora, cosa che lo turbò molto da uomo profondamente cattolico.
Un altro grande caso di leader sfiduciato dai cittadini è stato Churchill. Immaginate: questo uomo salva il Regno Unito e l’Europa tutta anche grazie alla sua tenacia ed al pugno duro contro Hitler. E cosa succede poi? Perde malamente le elezioni del 1945 a favore dei laburisti! Sì, è una semplificazione ma rende bene l’idea.
Certamente le motivazioni sono variegate e ampiamente studiate, tuttavia queste sconfitte viste con gli occhi del contemporaneo fanno riflettere di come un leader possa essere sconfessato nel giro di poco tempo.
Questo fatto ricorrente nella vita politica non impaurisce se si accetta la sfida politica tenendo bene a mente un concetto: la politica come servizio. Chi interpreta la politica come servizio è orientato a fare sacrifici per il bene pubblico e a mettere da parte ambizioni personali. La leadership è vista come un mezzo per portare beneficio agli altri, non come un vantaggio personale. E spesso, se le cose vengono fatte bene, i sacrifici sono molto superiori ai vantaggi. Cosa implica tutto questo? Significa che, credendo nella politica come servizio, non siamo la persona che siamo, ma quello che rappresentiamo.

Negli ultimi anni, però, la Politica è diventata una questione personale, quando in realtà non dovrebbe esserlo. Nonostante, la carica che si ricopre dovrebbe essere più importante della persona, la mancata comprensione di questo fenomeno non porta le persone a farsi da parte qualora le condizioni non siano più funzionali ad andare avanti. Questa dinamica va collegata strettamente al concetto di personalizzazione della politica e dalla sua pervasività.
La “personalizzazione della politica” si riferisce a un fenomeno in cui la politica si concentra sempre più sulle figure individuali dei leader, piuttosto che sui partiti, sulle ideologie o sulle politiche specifiche. Questo concetto indica una crescente enfasi sulla personalità, sul carisma e sulle caratteristiche dei singoli politici, spesso presentati come “volti” del cambiamento o come “brand” riconoscibili, a scapito dei programmi o dei valori collettivi.
In sintesi, qual è il punto centrale di questo discorso? Il rifiuto di certi aspetti della politica (o della politica stessa) nasce anche dalla nostra scarsa comprensione delle esperienze complesse e inevitabili vissute da chi la politica la esercita. Siamo così abituati a interpretare la politica in termini personali che vediamo il ritiro di un politico come una sconfitta personale. Ma non è così.
In poche parole: una volta che hai dato il tuo contributo, ti ritirerai e sicuramente sarai criticato e attaccato per le tue decisioni. È allora che devi accettare una verità: tutto questo fa parte del gioco, tanto naturale quanto i conflitti tra adolescenti e genitori, che spesso si risolvono con l'età adulta.
De Gasperi, Churchill e, concedetemi di aggiungere, anche Biden, ci insegnano proprio questo. Non dimentichiamolo.
Alla prossima!