Carissimi amici di Aletheia,
è stata una pausa più lunga del previsto: alcuni cambiamenti nelle mie abitudini quotidiane non mi hanno permesso di mantenere il ritmo delle pubblicazioni. Ma eccoci di nuovo, più forti che mai.
Oggi ho il piacere di ospitare Francesco Fonte. Ho avuto modo di conoscerlo grazie alla grande Fondazione De Gasperi e ho sempre apprezzato le sue analisi e il suo modo di ragionare.
Francesco è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È stato team member dello European Team dello Jeci-Miec nel 2023, incaricato nazionale per le relazioni internazionali della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) nel biennio 2023-2024 e convenor della Pax Romana Jurists’ Commission dell’IMCS Pax Romana dal 2022 al 2024.
Grazie alla sua esperienza nell’associazionismo cattolico e al suo percorso di studi, Francesco è in grado di offrire una chiave di lettura particolarmente preziosa del contesto vaticano. Infatti, mentre la narrativa mainstream tende a presentarci Papa Leone come in antitesi al predecessore Papa Francesco, la realtà è ben più complessa.
Che dire? Buona lettura, amici, e alla prossima!
Avanti tutta!
Una pace disarmante e disarmata è quanto auspicato dal neoeletto Leone XIV dalla loggia della Basilica di San Pietro. Una condizione, insomma, che consenta di risolvere le tensioni generate dall’attuale scenario geopolitico. Tale appello ha rincuorato molti, di fronte alla degenerata condizione delle relazioni internazionali, specialmente ma non solo per quanto riguarda la condizione del Medio Oriente e dell’Ucraina.
Ad ogni novità si è soliti, forse anche per una carenza di valide categorie di pensiero generate dal cambiamento, tracciare linee di demarcazione al fine di identificare delle discontinuità con il passato. Si è infatti recentemente discusso di una “nuova geopolitica vaticana”, di conseguenza alla produzione di una fitta pubblicistica sul punto.
Si assiste infatti ad una grande serie di articoli che ostinatamente vuole trovare discontinuità ad ogni costo, specialmente con il predecessore di Leone XIV, Papa Francesco. La chiave di lettura è già stata fornita dallo stesso Leone XIV nella sua intervista al periodico Crux dove il Pontefice americano ha chiaramente affermato la necessità di continuare nel cammino segnato dall’attività del predecessore:
“La prospettiva latinoamericana è molto preziosa per me e penso emerga anche in un apprezzamento che ho per la vita della Chiesa dall’America Latina, che credo sia stata significativa sia nella mia connessione con Papa Francesco sia nella mia comprensione di una parte della visione che Papa Francesco aveva per la Chiesa e di come, in qualche modo almeno, noi continuiamo a portare avanti ciò che Francesco offriva alla Chiesa in termini di visione, una vera visione profetica per la Chiesa di oggi e di domani.”[1]
La riflessione su quanto “nuova” possa denominarsi la “politica estera” della Santa Sede d’ora in avanti dovrebbe costituire oggetto di adeguate cautele. La presenza della Chiesa nel mondo come costruttrice e promotrice di pace si riannoda alla sua natura universale, nell’ambito della quale ognuno è chiamato a farsi carico di questo sforzo.
Alcuni settori, tuttavia, assumono quelle caratteristiche di novità che interessano gli interrogativi sul futuro: tra questi, figurano i rapporti della Santa Sede con la Repubblica Popolare Cinese, corroborati dall’accordo provvisorio concluso nel 2018 da Papa Francesco. L’accordo ha concesso di rivitalizzare i rapporti tra Santa Sede e Cina, non particolarmente sviluppati in seguito agli eventi geopolitici degli anni 70’.
Già San Paolo VI aveva affermato in occasione del viaggio di Paolo VI ad Hong-Kong, rivolgendosi alla autorità cinesi: “Fermiamoci qui, e concludiamo: la Chiesa è dunque un effetto unitario dell’amore di Cristo per noi, e può essa stessa essere considerata un segno operante, un sacramento di unità e di amore. Amare è la sua missione. Ora, mentre diciamo queste semplici e sublimi parole, noi abbiamo d’intorno a noi, quasi lo sentiamo, tutto il popolo Cinese, dovunque esso si trovi. Viene, per la prima volta nella storia, quest’umile apostolo di Cristo, che Noi siamo, a questa estrema terra orientale; e che cosa dice? e perché viene? Per dire una sola parola: amore. Cristo è anche per la Cina un Maestro, un Pastore, un Redentore amoroso. La Chiesa non può tacere questa buona parola; amore, che resterà”.
Le parole di Papa Montini hanno costituito un significativo “passo in avanti” per le relazioni sino-vaticane, in particolare alla luce del ridimensionamento della presenza della Santa Sede dal punto di vista diplomatico a Taiwan nel 1971, dove rimase esclusivamente un incaricato d’affari e non un Nunzio Apostolico.
Benedetto XVI si era espresso, più recentemente, nell’ottica di pervenire ad una condizione di dialogo con le istituzioni e i fedeli cinesi. È riprendendo gli auspici di San Giovanni Paolo II espressi nel 2001 nell’indirizzo al Convegno Internazionale su P. Matteo Ricci che il pontefice tedesco afferma: “Lo sappia la Cina: la Chiesa cattolica ha il vivo proposito di offrire, ancora una volta, un umile e disinteressato servizio, in ciò che le compete, per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese”.
Allo stesso modo il Pontefice attendeva un rinnovamento delle relazioni al punto di garantire il superamento delle “gravi limitazioni che toccano il cuore della fede e che, in certa misura, soffocano l’attività pastolare”, concentrantisi, tra le altre cose, nella difficoltà di espressione della propria fede, del riconoscimento gerarchico del primato petrino, della convivenza sociale dei fedeli cattolici in Cina.
E’ attraverso questi auspici che si è pervenuti agli accordi del 2018, puntualmente rinnovati a scadenza triennale. Come è stato sottolineato (A. Li) l’accordo avrebbe altresì rafforzato la reputazione internazionale della Cina, in costante ricerca di una solida affermazione a livello internazionale, per il fatto che questa avrebbe limitato le critiche inerenti alle nomine illegittime dei vescovi e ridotto il potere delle cd. “chiese sotterranee”.
È nel solco della continuità con I suoi predecessori che Papa Leone XIV ha dichiarato che intende sviluppare il suo ministero sul punto dei rapporti sino-vaticani, ovverosia quella di sviluppare ulteriormente tale relazione in particolare nel riferimento ai cattolici cinesi che non sono stati in grado di professare liberamente la propria fede.
Il quadro, tuttavia, avverte il Pontefice, è molto complesso. Recentemente il Santo Padre ha fuso due diocesi all’interno della più ampia neo eretta diocesi di Zhangjiakou, nominando vescovo il reverendo Giuseppe Wang Zhengui. Dalla prima intervista rilasciata dal Pontefice americano emerge un approccio caratterizzato dal realismo nelle relazioni internazionali, nel segno della continuità con i predecessori.
Già a pochi giorni dall’elezione del nuovo pontefice il Card. Chow, arcivescovo di Hong-Kong, il 22 maggio, ha espresso il desiderio di Papa Leone XIV, ovvero quello di visitare la Cina, secondo quanto riportato dallo stesso Prevost al prelato.
In tale complicato quadro nazionale il rischio maggiormente evidente è quello del mantenimento e dell’ulteriore sviluppo della cd. Sinizzazione, intendendosi per tale l’adeguamento del cattolicesimo ai diktat della dottrina politica cinese e ai suoi principi culturali.
Lo sviluppo della sinizzazione giunge fino al complicato rapporto della Chiesa cattolica locale con l’Associazione Patriottica così come con il partito. Si richiamano in questa sede i casi in cui si è verificata la soppressione di diocesi con a capo dei vescovi poco inclini a seguire i dettami del regime procedendo alla loro fusione in diocesi più ampie con a capo dei vescovi allineati.
In tale quadro, dove si può notare il più forte controllo politico e ideologico da parte governativa e la necessità del Vaticano di preservare la libertà di professione della fede religiosa, risulta complicato stabilire se si possa parlare di una nuova politica estera vaticana. Quello che appare certo è che la Santa Sede dovrà adeguare la sua risposta in ragione dell’evoluzione della situazione dei cattolici in Cina.
L’interrogativo è quindi aperto. E’ solo alla luce degli ulteriori sviluppi nel contesto politico cinese che si potrà verificare un cambio di marcia oppure un vero e proprio sviluppo dell’attuale situazione suggellata dall’accordo del 2018.
[1] Testo fedele tradotto dell’intervista.