Ma la politica interna?
Gli articoli su Trump, Musk e la Cina fanno audience ma non migliorano il nostro dibattito interno
Eccezzziunalmente... di lunedì!
Ci sono momenti nella storia in cui l’opinione pubblica sembra dimenticarsi completamente della politica interna. È come se svanisse nel nulla. Tutti i principali siti d’informazione hanno in prima pagina solo notizie di politica estera.
Sia chiaro: il mondo non attraversava sconvolgimenti simili dalla Seconda guerra mondiale, ed è comprensibile che i giornalisti scelgano le notizie seguendo questa logica.
Colpisce, tuttavia, la totale assenza di dibattito su questioni di rilevanza interna.
Un’analisi dei principali quotidiani italiani tra gennaio 2024 e febbraio 2025 mostra picchi di copertura estera (fino al 65 % delle prime pagine) nei giorni di escalation del conflitto russo‑ucraino .
Secondo l’ipotesi dell’indicizzazione di Bennett, le redazioni tendono a selezionare fonti e cornici narrative sulla base del dibattito fra élite politiche, particolarmente acceso sui dossier di sicurezza internazionale. Questo meccanismo amplifica automaticamente la rilevanza dei temi di politica estera.
Per essere più chiari: secondo questa teoria, i professionisti dell’informazione – dai direttori ai reporter – tendono a “indicizzare” (cioè calibrare/selezionare) la gamma di voci e punti di vista riportati nelle notizie e negli editoriali in base all’ampiezza del dibattito tra le élite governative mainstream su un determinato tema.
Se all’interno del governo o del Parlamento c’è pluralismo o conflitto aperto, anche la copertura mediatica rifletterà una maggiore varietà di opinioni. Se invece c’è un consenso tra élite, la stampa tenderà a rispecchiarlo, relegando le posizioni dissidenti ai margini, che risulteranno quindi in meno articoli e meno traffico. Avete presente le diverse posizioni sulla Russia tra FdI e Lega? Ecco, appunto.
E’ come se, le politiche interne siano diventate una prerogativa esclusiva per lobbisti e i loro rapporti con i politici.
Ma parliamo del Governo.
Meloni si è gettata nel pantano della politica internazionale per motivi ben noti a chi studia scienza politica.
Il primo è il fenomeno del rally around the flag: in presenza di crisi, i leader spesso registrano un aumento di popolarità perché appaiono come “comandanti in capo”. Strategie comunicative mirate – viaggi, photo-op, annunci di aiuti militari – rafforzano questa dinamica, spingendo media e talk-show a dare ancora più spazio al tema.
Il secondo, che è poi il punto da cui nasce questa analisi, riguarda l’offuscamento delle criticità interne. Quando un governo è in difficoltà su dossier come sanità, salari o riforme, è più agevole spostare l’attenzione sulla dimensione internazionale, dove si possono rivendicare successi simbolici a costi politici più bassi.
Un po’ quello che fa Pedro Sanchez constatemente.
In Italia, diversi osservatori sottolineano come il governo Meloni abbia costruito gran parte del proprio consenso grazie alla visibilità internazionale. Ed è evidente: sul fronte interno, se siamo onesti, non ha realizzato granché. Ok, ha abolito il Reddito di cittadinanza. Ma poi?
Bibi Netanyahu, ad esempio, per coprire i problemi della sua maggioranza in Israele, bombarda regolarmente i Paesi confinanti.
E l’Europa?
Oggi molte leve economiche e regolatorie sono decise a livello UE: i confini tra “interno” ed “estero” si fanno sempre più sfumati. Discutere di Bruxelles o di geopolitica energetica significa, di fatto, parlare di bollette o di lavoro in Italia. Eppure, erroneamente, queste questioni vengono ancora trattate come affari esteri. Ma non lo sono affatto.
Il guardare all’esterno è anche uno specchio delle credenze degli italiani.
Secondo l’Eurispes: “Il 43,7% dei cittadini pensa che l’Italia sia uno Stato marginale, che non decide ma subisce la linea politica di Stati Uniti e Unione europea. Il 39,6% ritiene invece che il nostro sia uno Stato che in parte decide autonomamente e in parte segue le linee politiche di Usa e Ue. Il 43,2% si sente soprattutto un cittadino italiano. Poco meno di un italiano su cinque (22%) si sente europeo.”
Perché dovrei interessarmi di qualcosa che, in fondo, non conta? È una domanda legittima.
Ovviamente, come sempre, la verità sta nel mezzo. L’operato del governo dovrebbe ricevere maggiore attenzione giornalistica, ma al momento questa attenzione è carente. Le poche fonti d’informazione che fanno vera inchiesta – vedi Report – sono sotto pressione.
Sì, è facile fare l’articolino su Trump, Musk, il tecnopopulismo o la “supercazzola prematurata”. Perché hai capito che fare inchiesta è complicato, e nel 90% dei casi non genera lo stesso hype.
La democrazia non è a rischio. Ma le menti pensanti sì.