Cari amici di Aletheia Italiana, buon anno.
Ci ritroviamo dopo una bella pausa, necessaria. Sono successe un sacco di cose in questo periodo e l’avvenire sembra farsi sempre più incerto. Un primo-repubblicano, però, non può averne paura.
Oggi Aletheia ritorna con un’analisi interessantissima di Fabio Colasanti, che abbiamo già avuto l’onore di ospitare qui sulla piattaforma.
Fabio, con una esperienza trentennale alla Commissione Europea nelle direzioni generali degli affari economici e finanziari, bilancio, industria, telecomunicazioni e tecnologie digitali, ci fa un excursus di quanto accaduto negli anni recenti nel settore delle telecomunicazioni, fino alla vicenda Starlink.
Che dire amici, buona lettura e avanti tutta!
Già da alcuni anni si parlava della possibilità di risolvere il problema dell’accesso alla banda larga o ultra larga con l’utilizzo di sistemi satellitari e, in particolare, di Starlink, il sistema della società Space X di Elon Musk. Adesso si parla di nuovo dell’uso di questo sistema, forse per le comunicazioni militari. Tuttavia, se ne parla in termini di urgenza che non mi sembrano affatto giustificati dalla realtà del problema.
Purtroppo, non disponiamo di indicazioni precise su cosa il governo voglia effettivamente fare. Sono apparsi articoli di stampa su di un presunto contratto di circa un miliardo e mezzo di euro per un certo numero di anni ma non si sa bene per cosa. Il governo ha smentito l’informazione su di un contratto sul punto di essere firmato ma non disponiamo di documenti ufficiali. Non ci resta quindi che basarci sulle dichiarazioni di alcuni politici, soprattutto quelle del ministro Crosetto. Video qui sotto.
Ripartiamo dai problemi conosciuti. L’Italia, essendo priva di una rete per la televisione via cavo, è negli ultimi posti nell’UE per quanto riguarda i collegamenti fissi ad internet. I dati DESI della Commissione europea mostrano bene questa situazione poco allegra (anche se in qualche caso la Germania è più indietro di noi). A questo link tutti gli indicatori DESI.
Nel dicembre 2015, il governo Renzi, insoddisfatto dei risultati ottenuti fino a quel momento da TIM e dalle altre aziende nel cablare il Paese con la fibra fino a casa, ha creato Open Fiber, una società cofinanziata per un 50% da Enel e per l’altro 50% da Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Sotto la guida iniziale di Enel, Open Fiber ha ottenuto risultati positivi, iniziando effettivamente a cablare il paese e facendo concorrenza diretta a TIM. In questa azione Open Fiber poteva contare sulle conoscenze e sulle infrastrutture di Enel.
Le cose sono però cambiate con il governo giallorosso (2019-2021), preoccupato per la crisi di TIM che rischiava di tradursi nell’annuncio di un alto numero di licenziamenti. Il governo ha quindi deciso che Open Fiber dovesse “cooperare” con Tim.
Il cambio di strategia non è piaciuto ad Enel ed il governo ha reagito chiedendo a questa società di vendere il 40% delle azioni di Open Fiber al fondo australiano Macquaire ed il restante 10% a CDP. Non proprio la reazione che ci si sarebbe aspettati da un governo convinto dell’importanza del settore pubblico nell’economia. Per rafforzare questo piano, è stato nominato un amministratore delegato indicato dal Partito Democratico (PD) alla guida di Open Fiber. Tuttavia, questa nuova strategia ha prodotto effetti disastrosi: gran parte della dirigenza di Open Fiber ha lasciato la società e questo ha portato ad un cambio di proprietà concluso solo nel dicembre del 2021.
CDP, che nel frattempo era entrata nel capitale di TIM, ha successivamente avallato la vendita della rete di questa azienda al fondo americano KKR. Pur necessaria per ripagare i debiti accumulati negli anni da TIM, questa operazione ha avuto un costo elevato: si sono incassati circa 14 miliardi di euro, ma ora TIM paga un affitto significativo per l’utilizzo della rete, garantendo a KKR rendimenti sicuri e senza rischi.
Nel frattempo, Starlink si è sviluppata e ha fatto le sue prove, tra l’altro permettendo alle truppe ucraine di continuare ad avere l’accesso ad internet nonostante le distruzioni operate dai bombardamenti russi. Ma sarebbe un po’ strano, ricorrere a Starlink di fronte all’incapacità di TIM e Open Fiber di cablare il paese con la fibra fino a casa, complice la burocrazia locale. Se questo fosse fatto, si utilizzerebbero altre risorse pubbliche per fare concorrenza a due aziende già finanziate da CDP (TIM e Open Fiber).
Nel corso degli ultimi anni però sono apparsi altri argomenti a favore dell’uso di sistemi satellitari. La guerra in Ucraina sembra aver dato inizio ad una guerra non dichiarata che ha preso di mira i cavi sottomarini per le telecomunicazioni che sono il vero perno della rete internet che conosciamo.
I cavi sottomarini esistono da oltre un secolo e mezzo e non sono particolarmente protetti contro i sabotaggi. Questo è dovuto al fatto che la protezione costerebbe molto e al fatto che finora nessuno aveva mostrato il coraggio barbaro di colpire queste installazioni fondamentali. Eppure, dal mar Baltico alle acque vicino a Taiwan, ci sono stati danneggiamenti gravi di cavi sottomarini dovuti probabilmente a navi russe o cinesi.
Da almeno cinque anni sono iniziate delle riflessioni sulla necessità di un sistema europeo di comunicazioni via satellite. Nel novembre 2022 è stato raggiunto un accordo tra il Consiglio e il Parlamento europeo su di un regolamento che istituisce il programma dell'UE per una connettività sicura per il periodo 2023-2027. Il programma mira a far sì che l'Unione europea disponga di una propria costellazione di satelliti denominata "IRIS2" (Infrastruttura per la resilienza, l'interconnettività e la sicurezza via satellite).
La Commissione sarà proprietaria dei beni materiali e immateriali relativi all'infrastruttura governativa sviluppata nell'ambito di questo programma. Il programma mobilita un importo totale di 2,4 miliardi di EUR. L'infrastruttura sarà acquisita dalla Commissione attraverso un partenariato pubblico-privato, con contratti aggiudicati all'industria mediante gara.
Certo, il programma IRIS2 ha ancora bisogno di tempo ma non risulta che i governi italiani, compreso quello attuale, si siano mai lamentati dei tempi dell’iniziativa europea o abbiano chiesto di accelerarla. Cosa è successo che ha reso insufficiente l’iniziativa europea IRIS2?
Poco meno di venti anni fa la società di telecomunicazioni americana AT&T aveva manifestato l’intenzione di acquisire una quota di controllo di Telecom Italia. La cosa aveva suscitato un mare di proteste per la temuta “consegna in mani straniere di un asset strategico italiano”. L’ampiezza delle reazioni era stata tale che la stessa AT&T si era ritirata temendo interventi del governo italiano.
Ero stato molto critico di queste reazioni esagerate della nostra opinione pubblica. In un articolo scritto a suo tempo, mi ero chiesto se qualcuno avesse pensato che gli americani volessero “arrotolare la rete” di TIM e portarsela negli Stati Uniti. Oggi, però, la stessa opinione pubblica non sembra vedere molti problemi nel fatto che le nostre comunicazioni – del governo o altre – siano affidate ad una società basata negli Stati Uniti che utilizza infrastrutture che sono fuori dal territorio italiano e che potrebbe decidere di tagliarle dall’oggi al domani semplicemente spingendo su di un bottone.
non ricordo dove avevo letto la semplificazione dell'accordo su IRIS: tre personaggi, un francese, un tedesco ed un italiano. Parla il francese: io ci metto x e comando, tu tedesco ci metti x e comandi un po' meno, tu italiano ci metti x--e non conti . Protesta l'italiano ma il francese ribatte no tu non conti un cazzo. Al che l'italiano sen va via e tutto rimane al da farsi. Vero?